Il Bel Paese che se ne va (in default)


E' stato un disastro annunciato, quasi telefonato direi. Una di quelle telefonate intercettate in cui un Lavitola a caso dice ad un Berlusconi a caso: si salvi chi può (cioè loro). Da oggi l’Italia, sebbene nessuno lo dica, è praticamente in default. L’Italia oggi ha raggiunto il tanto temuto spauracchio dei bond ai 10 anni ad un tasso di scambio del 7% – alle 11 am erano al 7,4%. Chi è un minimo familiare con la finanza sa che una volta raggiunto il tetto del 7% non c’è più ritorno. Come dimostrano le simulazioni fatte dal Fondo Monetario Internazionale , anche se i tassi dovessero stabilizzarsi sui valori attuali, il costo del finanziamento del debito pubblico si aggirerebbe attorno all’8% con un debito pubblico che sostanzialmente ammonterebbe al 20% delle entrate del Paese fino al 2015. Il 20% è un valore ritenuto insostenibile da quasi tutti i Paesi. E significa una cosa ed una sola cosa: la richiesta d’aiuto da parte del nostro Paese al FMI per un pacchetto di salvataggio, che in termini tecnici altro non è che un default.

Il problema che ha l’Italia è un altro: al contrario della Grecia e dell’Irlanda, il PIL italiano (che è uno dei più grandi in Europa) non permette un salvataggio facile e veloce. La Banca Centrale Europea non è autorizzata ad acquistare grosse quantità di titoli di Stato di singoli Paesi e farsi dunque carico del loro debito pubblico. Mario Draghi ha fatto già sapere che le regole sono regole ed a quelle la BCE si atterrà.

Quali sono le soluzioni? Se Silvio Berlusconi ascoltasse i mercati, oltre che ai suoi avversari ma anche (ex) alleati, e si dimettesse da Presidente del Consiglio, porterebbe sicuramente una ventata di euforia nei mercati ed, a quel punto, potrebbe essere possibile per la BCE acquistare un numero più elevato di bond tramite un programma di messa in sicurezza in supporto a delle riforme finanziarie e nuove politiche monetarie. Ma questo di per sé potrebbe non essere sufficiente. Il ché porrebbe la Germania di fronte ad una scelta drastica: dare l’ok alla BCE per la messa in circolazione di altra carta moneta per acquistare altri bond italiani oppure scrivere la parola FINE sull’avventura “Euro”.

Come dicevamo, era un disastro annunciato. Nonostante le pantomime mediatiche del Premier e dei suoi yes-men in cui si decantava la bellezza ma, soprattutto, la salute di questo Paese, l’Italia ormai da qualche anno ha smesso di essere un Paese ricco e virtuoso. Con una crescita che è oscillata tra lo 0,2% e lo 0,5% medio negli ultimi quindici anni (praticamente crescita nulla, solo Haiti e lo Zimbabwe hanno fatto peggio), gli italiani hanno dovuto dare fondo ai propri risparmi e tutto questo mentre il Paese si impoveriva, come dimostrano lo stato in cui versano le nostre infrastrutture, i servizi pubblici (quando ci sono) ed il calo drastico dei consumi. La favoletta del Paese libero rappresentato dal Made in Italy è una bufala. Il Made in Italy non è più made in Italy da molto tempo. Le nostre case di moda, fiore all’occhiello della produzione nazionale, sono quasi tutte in mano straniera, fatta eccezione per Armani e Prada. Le nostre assicurazioni sono state assorbite da partner stranieri. Le nostre industrie, quando non chiudono, restano aperte grazie ad investimenti stranieri. E per finire, grazie alla crisi degli ultimi giorni, ora anche le nostre banche rischiano di essere comprate a basso costo da altre banche europee e/o asiatiche.

L’Italia paga la sua incompetenza politica e gestionale ed una classe politica fortemente incompetente, sia dal punto di vista di chi governa che da quello delle opposizioni. Essendo l’Italia un Paese sostanzialmente solvente e con un sistema bancario solido ma con un debito pubblico enorme, paga lo scotto di una classe dirigente patetica grazie alla quale è stato un gioco da ragazzi per gli speculatori mettere in ginocchio il Paese.

Come si esce da questa situazione? Sicuramente male. Ma non è detto che si debba uscire male come la Grecia. Dopo tutto, non dimentichiamoci che l’Italia rappresenta una grossa fetta del PIL europeo e che parecchi dei suoi bond “tossici” sono in mano a banche tedesche e francesi (la Francia ha l’equivalente del 20% del suo PIL investito nel debito pubblico italiano). Se l’Italia dovesse defaultare, si porterebbe dietro una grossa fetta d’Europa, innescando una reazione a catena nel tessuto finanziario mondiale. Non possiamo, come la Grecia, rimanere appesi alla chimera di un salvataggio da parte della Germania che, mi pare ormai chiaro dai fatti avvenuti negli ultimi mesi, non ha alcuna intenzione di salvare nessuno se non se stessa (come dimostrano i tassi di scambio Euro-marco allo 0,25%!). Se avessimo un apparato politico competente e capace, potremmo usare questa carta come asso nella manica e giocare al rilancio, ovvero: non accettare le politiche asfissianti e sanguinose imposte da Bonn e Parigi, ma puntare a stimolare l’economia investendo e non tagliando, proprio come stanno facendo US e GB. Potremmo momentaneamente lasciare l’Euro o puntare ad un sistema Euro a due velocità per dare l’opportunità alle economie mediterranee, rimaste strozzate dalle politiche europee dettate da Merkel e Sarkozy, di rimettersi in carreggiata. Ma rimane quel SE della nostra classe politica. Mi pare chiaro infatti che né le forze di governo né le opposizioni siano in grado di fornire quelle certezze, quell’iniziativa positiva che una situazione delicatissima come questa richiederebbe e che i mercati domandano. Ed i mercati reagiscono di conseguenza. Sfiduciandoci. La strada per l’Italia ora è tutta in salita. Era iniziata con una manovra lacrime e sangue. E’ finita con lacrime e sangue, senza possibilità di manovra.

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