Fini: da Fiuggi a Mirabilandia…pardon, Mirabello


E’ una storia di ordinaria politica italiana quella di Gianfranco Fini. Rampollo della destra radicale (il nonno, Alfredo Marani, fu presente con Italo Balbo alla marcia su Roma), Gianfranco si fa le ossa nelle file della Giovine Italia dove entra, a sua detta, per reazione contro il radicalismo di certi gruppi di sinistra. Sono i tempi della Bologna dualista, del rosso e del nero alla Stendhal, delle brigate nere contro quelle rosse.

La carriera di Fini è brillante: da delfino di Almirante, a segretario del Fronte della Gioventù, alla collaborazione con il Secolo d’Italia fino all’ascesa sui banchi del Parlamento. Negli anni ’80 viene eletto segretario dell’MSI. Ma Fini sa che, per crescere, bisogna fare qualche rinuncia. E così, nel 1995, arriva la svolta di Fiuggi e la nascita di Alleanza Nazionale. Il partito, formalmente, abbandona l’etichetta antifascista e promette un cambiamento verso un conservatorismo liberale, rinunciando ai toni prettamente fascisti contro il capitalismo e contro l’egemonia americana. E’ il Fini formato famiglia, l’inizio della lenta beatificazione. Tra il dire e il fare, però, c’è di mezzo il mare. Della serie “non sono una signora”, la signora Fini, Daniela Di Sotto, sempre accanto al marito, si lascia più volte andare ad esternazioni di classe del tipo: “Non manderei mai i miei figli in una scuola in cui ci fosse un maestro frocio”. Stessa sorte infame toccherà anche a presunti giocatori gay dell’amata Lazio. Fino alla famosa frase: “Sono andata a sbattermi il culo con Storace” che aprirà formalmente le indagini sulle convenzioni con la Regione Lazio.

Non si capisce se siano stati i 20 anni alla corte di Re Mida Berlusconi o i 20 anni accanto alla graziosa signora Di Sotto a spingere Fini tra le braccia della giovane Elisabetta Tulliani. Fatto sta che il Presidente della Camera si separa da entrambe ed inizia una metamorfosi politica, a metà tra pentimento e redenzione.
Ha inizio così il processo di beatificazione che, come per tutti i santi che si rispettino, passa sempre per il martirio. E così Fini, coraggioso e scaltro, si impadronisce di quelle posizioni ideologiche strategiche lasciate vuote dalla sinistra che, avendo paura di essere tacciata per troppo “di sinistra” appunto, continua a rinnegare: rispetto per gli extra-comunitari, diritti alle coppie di fatto, rispetto dei gay e persino una bella spinta alla ricerca sulle staminali. Fini parla, ammicca, lancia messaggi in codice e, soprattutto, dichiara guerra al Re. Il martire dovrà subire attacchi da una parte della sua stessa destra, dai giornali di Stato, dalle guardie del Re e dalla Lega che non accetta questa conversione cristiana. Gli unici che lo lodano, come sempre, sono quelli di sinistra che non sapendo più che pesci prendere si attaccano a Fini come una cozza si attacca allo scoglio quando c’è bufera.

Il processo di beatificazione sta per concludersi. Fini si mostra alla folla dei fedeli di Futuro e Libertà (un nome, un programma) a Mirabello. Dice cose del tipo: “Il Pdl non può essere derubricato a contorno del leader, un grande partito deve essere qualcosa di più del coro dei plaudenti”, “Vado avanti nonostante gli attacchi infami, non tanto contro la mia persona, ma contro la mia famiglia”, “Solo chi non conosce la storia oltre che la geografia può pensare che la Padania esista davvero”e ancora “Gli italiani hanno il diritto di scegliere non solo il premier ma anche i loro parlamentari” e soprattutto “La riforma della giustizia va fatta per garantire gli onesti. Tutti vogliono che i processi si concludano in tempi brevi, ma la cosa inaccettabile è che una volta definiti i tempi congrui, li si renda retroattivi, lasciando così le parti lese e le vittime con un pugno di mosche in mano”. Qualche giorno dopo in Parlamento verrà votato il Lodo Alfano anche dai rappresentanti di Futuro e Libertà.

Chi aveva mai creduto alla svolta buonista di Fini? Pochi credo. Semplicemente avevamo un po’ sperato, soprattutto a sinistra, che in questo deserto politico si potesse ancora trovare qualche rabdomante. Ad oggi, in un Paese che ha paura a definirsi democratico, Fini rimane l’unico in grado di distruggere Berlusconi, non solo per merito suo ma anche per demerito degli altri. Dall’altra parte, infatti, gli si contrappongono figure come Bersani (non pervenuto), Di Pietro (l’urlatore) e Vendola (l’alter-ego buono di Berlusconi). Sperando che Mirabello non sia stato una specie di Mirabilandia politica, non possiamo che augurarci che il santino, ormai benedetto dalla folla, ora sortisca i suoi buoni effetti. Amen.

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