Donne Con Le Gonne


L’emancipazione femminile è ancora oggi un tema molto scottante. A più di trent’anni della liberazione sessuale e dalla rivoluzione politica e culturale del ’68, le donne seppur rappresentando la maggioranza nel pianeta, rimangono ancora succubi ed allo stesso tempo gregarie del ruolo maschile. Ci sono fior fiore di trattati, seminari e libri scritti a riguardo su come la diversità, sia a livello di genere che di cultura, rappresenti una forza non una debolezza ed un mondo più inclusivo sia la chiave per una società più giusta e bilanciata. Eppure ancora oggi nel 2015, noi donne ed un gruppo ristretto di uomini ci troviamo a dover ribadire l’ovvio, a dover lottare con unghie e denti per difendere quei diritti che sono limitati al nostro ruolo di madri e mogli più che di individui. Come cantava già Vecchioni parecchi anni fa, meglio una donna noiosa sottomessa e che possibilmente usi poco il cervello piuttosto che una donna in carriera che sappia quello che vuole e lotti per quel che crede – una col pisello (genitale maschile) diceva lui. Meglio una donna con la gonna – possibilmente corta, così da sfoggiare le sue belle gambe con gli amici.


Molti sociologi ci dicono che il primo passo verso l’emancipazione femminile è l’indipendenza economica. In poche parole, la donna è più libera quanto più è capace di poter far fronte ai propri bisogni senza dover essere dipendente economicamente da altri. Dunque mi pare chiaro che l’emancipazione femminile sia direttamente proporzionale al livello di povertà di un Paese. Più un paese è povero più la donna è sottomessa, più un paese è ricco più la donna ha accesso a pari opportunità. E' quindi nei Paesi industrializzati dove la donna gode di maggiori diritti. Fatta eccezione ovviamente, come sempre, per l’Italia – fanalino di coda in tutto quando si tratta di diritti civili. In Italia, i dati parlano chiaro: le donne sono quelle che si fanno carico quasi esclusivamente del lavoro di assistenza e di cura, sia retribuito che non. Sono quelle che si fanno quasi completamente carico della crescita dei figli, con i padri volutamente relegati ad un ruolo marginale e di supporto. Ma soprattutto sono quelle che più di tutti soffrono il clima economico e sono direttamente colpite dal crescente livello di disoccupazione.

Il motivo parte sempre da lontano e sta alla radice. Chiaramente responsabile di questa situazione è la società machista e patriarcale che vede gli uomini dominanti e gestori di quasi tutti i settori del Paese (le maestre sono donne, il preside uomo; le impiegate sono donne, il dirigente uomo, ecc ecc), ma altrettanto colpevoli sono le donne italiane che da sempre accettano di buon grado un ruolo primario all’interno della famiglia ma subordinato all’interno della società. E questo male radicato e profondo affligge tutte le classi sociali, anche quelle cosiddette “illuminate”. Un esempio: da una parte abbiamo uomini che si dichiarano a favore della parità dei diritti, della parità di genere e si mostrano stizziti davanti alla violenza contro le donne. Dall’altra, gli stessi sono poi quelli che seguono trasmissioni in tv dove alla guida c’è sempre un uomo abbronzato, attempato e mezzo marpione affiancato da una donna giovane, mezza nuda e sorridente che fa da valletta. Sono quelli che magari postano su Facebook foto di donne con addosso solo intimo, in posizioni succinte, facendo commenti espliciti su varie parti intime, come se si trattasse di un pezzo di carne da macello. Sono gli stessi che molto ingenuamente dimostrano la loro vera ignoranza postando addirittura foto di figlie o nipoti, ritenute belle, in pose provocanti per farsi vanto con gli amici. Siamo al paradosso in cui un genitore al giorno d’oggi in Italia andrebbe più orgoglioso di una figlia che dichiara di voler di voler fare la velina piuttosto che di una che dice di voler fare la volontaria per Amnesty International. Le donne d’altro canto, ormai quasi abituate al loro ruolo di damigelle d’onore, adagiate nel lusso di qualche cospicuo conto in banca, sembrano aver dimenticato completamente le lotte portate avanti dalle loro compagne negli anni '70. Anche loro appagate e soddisfatte nel chiacchiericcio insulso davanti ai cancelli della scuola, con il SUV, i vestiti firmati e come unica aspirazione quella di farsi un selfie in costume da postare su Facebook per mostrare che: A. Sono felici; B. Sono fiche. Quando la realtà del contesto della foto rivela esattamente l’opposto.

Non stupiscono dunque le sentenze di primo e secondo grado che gridano giustizia e lasciano impuniti i reati di violenza e di stupro. Né stupisce il clima di screditamento e calunnia che le vittime stesse sono costrette a subire in fase probatoria e sui social network. Eva è peccatrice solo per il fatto di esistere. Ed è la derivazione (di una costola) di un uomo, non il suo complementare. Purtroppo si ha difficoltà a capire che l’ostentazione del proprio corpo gioca a sfavore della donna non a vantaggio. Che ogni complimento colorato nei confronti di una parte fisica femminile in realtà corrisponde ad un insulto, ad un oltraggio all’intelligenza e dunque, all’emancipazione della donna. Il machismo è radicato in molti aspetti della società, non solo in Italia. Ma mentre in altri Paesi si è arrivati ad un punto di discussione che apre le porte ad un possibile cambiamento, in Italia si preferisce fare le tre scimmiette facendo finta che il problema non ci sia o che sia un falso problema. Come diceva Ombretta Colli: facciamo finta che tutto va ben tutto va ben…


Donne, andiamo orgogliose delle nostre gonne. La femminilità è una cosa meravigliosa. Ma nel momento in cui alzate la gonna fate sì che in mostra sia il vostro cervello non un buco con la ciambella attorno. Di buchi ce ne abbiamo fin troppi.


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